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  • Immagine del redattoreLeonardo Mattiello

PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI


PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI

INTRODUZIONE

L’evento “lesione” ha un impatto negativo sulla prestazione del calciatore che va al di là del semplice periodo di inattività direttamente conseguente al trauma, o delle eventuali limitazioni permanenti a carico della struttura (muscolo, legamento, articolazione in generale) interessata; infatti, l’infortunio, anche non di grossa entità, determina dei raggiustamenti della postura e degli schemi motori, che possono essere ben compensati o meno dall’atleta, ma che comunque nel tempo riducono la sua capacità di adattamento, fatto questo che pone le basi per le patologie secondarie, di tipo compensatorio.

La prevenzione delle lesioni muscolo-scheletriche rappresenta, quindi, una delle sfide principali per tutti coloro che lavorano intorno alla salute del calciatore. Il primo studio di livello sull’efficienza di un programma specifico di prevenzione è stato effettuato nel 1983 dal prof. J. Ekstrand, attuale vicedirettore del comitato medico dell’UEFA. Lo studio comprendeva 180 calciatori, appartenenti a 12 squadre suddivise causalmente in due gruppi: un gruppo effettuò il programma consueto, mentre l’altro inserì una serie di interventi specifici, che potrebbero sembrare banali, ma invece ancora di piena attualità, tra i quali: bendaggio preventivo della tibiotarsica nei soggetti con precedenti infortuni, esecuzione di corretto riscaldamento e defaticamento. A questo primo studio hanno fatto seguito numerose ricerche, tra cui un lavoro sull’efficacia di un lavoro propriocettivo nel ridurre l’incidenza delle lesioni del legamento crociato anteriore, fino ai lavori del FIFA-MedicalAssessment and Research Centre con la presentazione di proposte di lavoro a scopo preventivo sia per le calciatrici sia per i dilettanti.

TIPI DI INFORTUNIO

Classicamente le lesioni vengono distinte, al di là del distretto coinvolto in acute e croniche in base ai tempi e alle modalità di insorgenza. Le lesioni di tipo acuto si realizzano in maniera brusca, come evento singolo, per l’intervento di una forza che supera di molto le capacità di resistenza della struttura, mentre quelle di tipo cronico si determinano lentamente, per il sommarsi di forze lesive che superano di poco le capacità di resistenza e riparazione della struttura, ma si ripetono molte volte nel tempo. Esempi di lesioni acute possono essere i traumi muscolari e quelli legamentosi, mentre le patologie croniche sono in genere a carico delle strutture tendinee e legamentose, e comprendono sia le vere patologie da sovraccarico sia le patologie acute cronicizzate per inadeguato trattamento.

FATTORI PREDISPONENTI

La lesione si verifica comunque ogni volta che il carico imposto supera la capacità di tolleranza di una struttura: la relazione, in apparenza semplice, è poi resa più complessa dall’esistenza di una grossa serie di fattori predisponenti, estrinseci e intrinseci. I principali fattori estrinseci sono considerati il carico di allenamento, il terreno di allenamento e partita, le condizioni ambientali, le scarpe e le attrezzature in genere, ed esiste una discreta uniformità di vedute sulla loro importanza, mentre, per quanto riguarda il ruolo dei vari fattori intrinseci, esiste una maggiore difformità di vedute: analizzando, quindi, i principali tra questi, iniziando con quelli propri del soggetto per passare a quelli sui quali è possibile intervenire in maniera specifica.

GENETICA

La capacità di resistenza dei legamenti alle tensioni, così come la predisposizione a sviluppare patologie degenerative, a livello sia tendineo sia cartilagineo, sembrano avere una base di predisposizione genetica. Non è possibile, almeno al momento, pensare di avere una mappatura genetica che permetta di prevedere tali lesioni nel soggetto ancora sano, tuttavia questo dato ci dice che il soggetto già colpito da una di queste patologie, presenta un rischio più elevato di andare incontro alla stessa lesione anche sull’altro arto.

ETA’

Tutti i tessuti passano attraverso una fase di crescita e sviluppo, che termina circa intorno ai 20 anni, seguita da una fase di graduale degenerazione con perdita di forza, capacità di risposta agli stimoli e capacità di sviluppare energia. Progressivamente si passa da una maggiore frequenza di lesioni realmente acute a una maggiore frequenza di lesioni croniche, o acute su lesione cronica, ma bisogna ricordare che età cronologica, stabilita dal calendario, ed età biologica, determinata dalle qualità fisiologiche del tessuto, non corrispondono necessariamente, e ciò spiega in parte le differenze nelle risposte fisiologiche sia ai carichi sia ai tempi di recupero, e quindi le diverse esigenze preventive, tra soggetti apparentemente coetanei.

SESSO

Esistono differenze anatomiche (conformazione del bacino, valgismo di ginocchio), fisiologiche (assetto ormonale, livello di forza), funzionali (diversa attivazione neuromuscolare, diverso angolo di flessione del ginocchio nell’arrivo a terra da un salto e nei cambi di direzione) che rendono ragione della diversa incidenza di lesioni specifiche tra calciatori uomini e donne.

VARIABILITA’ ANTROPOMETICA

Le differenze di conformazione strutturale, quali valgismo o varismo di ginocchio e piede, l’atteggiamento rotuleo, piede piatto o cavo ecc, di forma (somatotipo) di composizione corporea (obesità o magrezza) rappresentano fattori associati a un maggiore rischio di specifiche lesioni.

ALIMENTAZIONE

Gli errori alimentari possono rivestire un ruolo importante quali fattori sia predisponenti l’insorgenza di infortuni sia condizionanti la velocità di recupero.

Non si deve però dimenticare il ruolo importante di una corretta idratazione ai fini della funzionalità muscolare, così come il possibile ruolo di alcuni acidi grassi essenziali, quelli conosciuti come omega 3 e omega 6, nel modulare la risposta a fenomeni infiammatori di bassa entità ma persistenti nel tempo, spesso riscontrati in atleti e implicati nello sviluppo di patologie croniche degenerative.

CONDIZIONE PSICO-FISICA

Il livello di preparazione fisica generale e la presenza di squilibri muscolari tra muscoli agonistici e antagonistici, o tra gruppi muscolari corrispondenti nei due arti, sono associati sia una diversa incidenza di lesioni, sia a lesioni di minore gravità, e/o minori tempi di recupero, a fronte di traumi della stessa entità.

DOLORE

La presenza di dolore non solo altera gli schemi motori e la capacità di attenzione, ma porta anche a un’inibizione muscolare diretta specifica: per esempio, in presenza di dolore di ginocchio si ha un’inibizione diretta del quadricipite e, in particolare, del vasto mediale obliquo che rende parzialmente inefficace qualsiasi esercitazione mirata di rinforzo muscolare.

INTERVENTI PREVENTIVI

La partecipazione a qualsiasi attività sportiva, e non soltanto al gioco del calcio, necessita di un’adeguata preparazione fisica e di un corretto bilanciamento muscolare. In particolare, considerando che la maggior parte delle lesioni avviene senza contatto, si capisce come, ai fini preventivi, sia fondamentale possedere livelli di forza adeguati, che significa non solo e non tanto elevati, ma piuttosto correttamente utilizzati: non è quindi di per sé importante avere muscoli in grado di sollevare grossi carichi, ma muscoli in grado di attivarsi al momento giusto per sopportare improvvise e/o impreviste variazioni di accelerazione e/o direzione. Al di là di questi prerequisiti essenziali, è possibile cercare di definire l0utilità di interventi preventivi specifici, avendo bene in mente che nella grande maggioranza dei casi l’infortunio è un evento provocato dal sommarsi di numerosi fattori, ed è quindi inutile attendersi dei risultati eclatanti lavorando, o valutando, uno solo di questi fattori.

ALLENAMENTO PROPRIOCETTIVO

Il lavoro di tipo propriocettivo è stato per molto tempo “confinato” all’ambito riabilitativo, quasi esclusivamente articolare, per essere inoltre spesso abbandonato una volta che il calciatore riprendeva la completa attività con la squadra, alla stregua di un qualsiasi temporaneo sussidio fisioterapico. Questo tipo di impostazione deriva probabilmente dal concetto, di per sé giusto, che il trauma articolare danneggia anche, dal punto di vista sia anatomico sia funzionale, i recettori articolari che trasmettono al sistema nervoso informazioni sul senso di movimento e di posizione. Il deficit propriocettivo porta a una riduzione del controllo neuromuscolare, che si associa all’instabilità dovuta alla lesione anatomica capsulolegamentosa, determinando un’instabilità funzionale che è alla base del recidivare della lesione. Un adeguato allenamento propriocettivo permette di ridurre il rischio di recidive, anche “riprogrammando” la funzione neuromuscolare: nei soggetti con deficit del legamento crociato anteriore, che presentano però una buona stabilità funzionale, si osserva, sia durante il cammino sia nella corsa e nei cambi di direzione, una minore attivazione del quadricipite e una maggiore attivazione degli ischiocrurali, in particolare della componente laterale costituita dal bicipite femorale.

I dati di alcune ricerche mostrano, inoltre, come il solo allenamento propriocettivo determini anche un aumento del picco di forza, superiore a quello osservato nel gruppo di controllo, sottoposto unicamente all’allenamento muscolare tradizionale, ma la riduzione, osservata in un altro studio, del tempo di percorrenza di una navetta multidirezionale scompare dopo due settimane dal termine dell’allenamento propriocettivo, per esser efficace, deve seguire le regole generali di variabilità degli stimoli e progressione del carico (difficoltà), altrimenti si avranno una stagnazione e un successivo decadimento dei risultati ottenuti. Quindi, per esempio:

-esercizio da appoggio bipodalico a monopodalico

-condizioni di instabilità progressivamente maggiori, fino a instabilità variabili durante uno stesso esercizio

-instabilità durante esercitazioni dinamiche

-instabilità associate all’esecuzione di compiti specifici, anche multipli (per esempio, raccogliere un oggetto mentre si è in appoggio su una superficie instabile)

-instabilità accentuate da carichi assimetrici; per esempio, sollevamento di un peso solo con un arto con contemporanea estensione della gamba, simulazione dell’azione di corsa

ALLENAMENTO DELLA MUSCOLATURA DEL “CORE”

Il “core” è una struttura anatomica ben precisa, formata da ossa, legamenti e muscoli che vanno dal diaframma fino alla pelvi; esso è responsabile del mantenimento del centro di gravità e della stabilità centrale necessaria per la corretta esecuzione di qualsiasi movimento. La struttura del core agisce come un base di supporto stabile che permette agli effettori periferici (braccia e gambe) di sviluppare forza e agire con precisione; una debolezza, un’instabilità o una corretta attivazione del core determinano una maggior carico e una maggior fatica per la muscolatura periferica, con la concreta possibilità che questo conduca all’insorgenza di infortuni. Il core agisce sia come differenziale per la trasmissione della forza sia come stabilizzatore, come punto di applicazione, in un concetto di “stabilità prossimale per una mobilità distale”.

I muscoli principalmente interessati, e quindi le strutture allenabili, sono gli addominali (non solo il retto ma, anzi, prevalentemente il trasverso e gli obliqui), gli spinali (multifido, erettore della spina, quadrato dei lombi, gran dorsale) e i glutei. Varie ricerche hanno mostrato che nessuno di questi muscoli svolge da solo un’azione predominante, ma tutti lavorano di concerto per stabilizzare il tronco durante l’attività. Il core è attivo in tutti e tre i piani del movimento e il suo sistema neuromuscolare prevede un meccanismo di “aggiustamento posturale anticipatorio”.

L’attivazione della muscolatura del core è, quindi, particolarmente importante in tutte le situazioni di instabilità, e pertanto nell’allenamento propriocettivo.

Un esempio di utilizzo associato, a scopo preventivo, di esercitazioni propriocettive, di attivazione del core, di rinforzo specifico si trova nella recente proposta del laboratorio medico della FIFA con l’”11+”, programma di esercizi da effettuare tre volte la settimana nella fase di riscaldamento.

STRETCHING

Lo stretching è una delle metodiche di allenamento maggiormente sottoposta a revisioni a critiche negli ultimi anni, dopo periodi di forte entusiasmo in cui spesso era ritenuto la soluzione di tutti i problemi, o la causa di qualsiasi infortunio nel caso non fosse stato praticato in maniera assidua.

In linea generale, si può considerare che, parlando di prevenzione, lo stretching statico:

-non sembra avere una particolare utilità preventiva quando inserito all’interno della fase di riscaldamento, dove, anzi, se effettuato in maniera prolungata potrebbe alterare il necessario afflusso di sangue al muscolo

-non ha nessuna utilità nel trattamento del dolore muscolare tardivo, quel dolore diffuso a comparsa 24-48 ore dopo la seduta, particolarmente evidente dopo sedute con alta componente di contrazione eccentrica

-non dovrebbe essere utilizzato, subito dopo il termine della seduta, per i gruppi muscolari impegnati in un lavoro prevalentemente eccentrico, per la possibilità di sommarsi di microlesioni in allungamento

-non deve essere utilizzato in presenza di dolore muscolare localizzato, per la possibilità di aggravare una esistente lesione

-può essere utilizzato per i muscoli degli arti inferiori a fine seduta, rispettando le indicazioni precedenti

-dovrebbe essere utilizzato regolarmente, sia alla fine della seduta sia, di preferenza, in sedute specifiche per i muscoli del tronco, del bacino, degli arti superiori

Per quanto riguarda lo stretching dinamico, effettuato con le necessarie attenzioni, inserito all’interno della fase di riscaldamento, sembra essere d’aiuto nell’aumentare l’ampiezza del movimento articolare (ROM, range of movement), e quindi potrebbe avere un ruolo preventivo senza influenzare negativamente la prestazione di potenza. Un altro aspetto da considerare è ciclica variazione quotidiana della capacità di allungamento dei tendini: questa è minima al mattino e aumenta poi, progressivamente, nell’arco della giornata. Sembrerebbe quindi preferibile, nel rispetto delle indicazioni precedenti, utilizzare comunque esercizi di stretching statico nelle sedute pomeridiane o serali, e sfruttare invece al mattino lo stretching dinamico per contribuire ad aumentare la compliance tendinea.

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