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  • Immagine del redattoreLeonardo Mattiello

LO STRETCHING: PRO E CONTRO

INTRODUZIONE

Il termine stretching proviene dall’inglese to stretch, che significa allungamento, stiramento, e rappresenta la metodica di allenamento che viene utilizzata per migliorare la flessibilità muscolare attraverso l’esecuzione di esercizi, semplici o complessi, di stiramento.


CONCETTI DI MOBILITA’ ARTICOLARE E FLESSIBILITA’ MUSCOLO-ARTICOLARE

Si distinguono tre forme fondamentali di mobilità articolare: -anatomica, indica l’escursione articolare consentita dalla struttura anatomica -attiva, indica la massima escursione di movimento articolare raggiunta, contraendo i muscoli agonisti e rilassando gli antagonisti; è quindi influenzata dai livelli di forza ed estensibilità muscolare -passiva, indica la massima escursione di movimento articolare raggiunta, per l’azione di forze esterne, grazie alla capacità di allungamento o rilassamento dei muscoli antagonisti; è quindi influenzata dalla eventuale forza di un carico o di un partner.

Gli esercizi di stretching in generale sollecitano, oltre alle fibre muscolari, anche tessuto connettivo (tendini, fasce ecc) che è presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile, ma, se non viene regolarmente sollecitato con l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica iniziale. Sostanzialmente esistono due tipi di tessuto connettivo che possono costituire un fattore limitante l’ampiezza del movimento di un atleta: il tessuto connettivo denso (composto principalmente da collagene) e il tessuto connettivo elastico. Nelle strutture in cui prevale il tessuto connettivo denso, il range di movimento è limitato, mentre una struttura ricca di tessuto connettivale elastico permette un ampio range di movimento. Attraverso un programma specifico, e ovviamente all’interno di certi limiti, dato che le caratteristiche del tessuto connettivo presentano una certa plasticità, è possibile ottenere un miglioramento del range di movimento. La capacità dei muscoli e dei tendini di allungarsi durante il movimento consentito da un’articolazione può essere definita flessibilità muscolare e rappresenta una qualità che può essere migliorata con l’allenamento. A sua volta, la flessibilità muscolare può essere limitata dalla capsula articolare, dall’attività della componente contrattile del muscolo, dal tessuto connettivo del muscolo stesso e dai suoi tendini, e dalla cute. Unendo i due concetti possiamo quindi parlare di flessibilità muscolo-articolare.

CENNI DI FISIOLOGIA DELLO STRETCHING

Ma cosa accade all’interno del nostro muscolo quando effettuiamo un esercizio di allungamento? Il tessuto muscolare la cui caratteristica principale è l’elasticità, è composto da cellule muscolari (fibre), a loro volta composte da decine di migliaia di miofibrille a filamento, che hanno la capacità di contrarsi, rilassarsi e allungarsi. All’interno di ogni muscolo scheletrico del nostro corpo è presente un sistema di recettori che informano costantemente il sistema nervoso centrale su quello che sta accadendo all’interno del nostro muscolo durante il movimento. I recettori più importanti che entrano in gioco nello stretching sono i fusi neuromuscolari, gli organi tendinei del golgi e i recettori del dolore (nocicettori).

I fusi neuromuscolari sono dei recettori sensibili alle variazioni di lunghezza del muscolo e sono presenti in tutti i muscoli scheletrici volontari; essi sono costituiti da un fascio di sottili fibre striate specializzate chiamate fibre intrafusali. Quando un muscolo viene allungato repentinamente, anche i fusi neuromuscolari sono sottoposti a stiramento e si allungano insieme alle fibre del muscolo. Con il loro allungamento, i fusi neuromuscolari non fanno altro che inviare un segnale al midollo spinale che quel muscolo ha subito un repentino allungamento, una situazione che potrebbe essere potenzialmente pericolosa se protratta nel tempo.

La risposta automatica che ne consegue è quella di una contrazione muscolare che tende ad opporsi allo stiramento stesso: questo meccanismo automatico di difesa, necessario per la salvaguardia del muscolo stesso, viene chiamato riflesso miotatico da stiramento. Durante una particolare tecnica di allungamento, lo stretching balistico, si innesca questo meccanismo.

Gli organi tendinei del Golgi sono, invece, dei recettori che rispondono a variazione di tensione del tendine causate da contrazioni muscolari o da stiramenti passivi, come avviene, per esempio, durante lo stretching. Essi sono presenti nello spessore del tendine o nella giunzione muscolo-tendinea e intervengono per ridurre l’eccessiva tensione muscolare se lo stiramento si prolunga per almeno 6 secondi. Infatti, la tensione accumulata attiva gli organi tendinei del Golgi i quali, attraverso un meccanismo chiamato riflesso miotatico inverso, proteggono la fibra muscolare da una tensione eccessiva, provocando il rilasciamento del muscolo striato.

L’azione dei recettori dolorifici (o nocicettori), che consistono in terminazioni nervose presenti nelle fibre muscolari e nel tessuto connettivo. LO stretching agisce su questi recettori “anestetizzandoli”. Ecco perché spesso viene usato per alleviare il dolore sui muscoli indolenziti da un allenamento. Questo è un errore infatti durante un allungamento il muscolo viene sollecitato oltre misura, ma, a causa dell’effetto “anestetizzante”, il dolore risulta sopportabile: in una situazione, quindi, dove i recettori del dolore sono “anastetizzanti”, un successivo impegno fisico può provocare un danno muscolare.

LE TECNICHE DI STRETCHING

E’ noto che non esiste una sola metodica di stretching, anche se quella più conosciuta è quella classica. A seconda delle discipline sportive, infatti, si sono sviluppate molte tecniche, diverse per modalità di esecuzione: -stretching dinamico e balistico -stretching statico -stretching passivo -stretching isometrico -stretching attivo -stretching globale attivo

STRETCHING BALISTICO

La tecnica del “molleggio” è attualmente la critica in quanto può risultare controproducente e dannosa: i muscoli, infatti, sono protetti da recettori i quali attivano il riflesso miotatico quando i primi vengono sottoposti a un allungamento eccessivo, contraendoli. Le conseguenze di ciò possono essere microtraumi, stiramenti e lesioni muscolari che possono creare cicatrici nel tessuto muscolare con conseguente diminuzione della sua elasticità permanente.

STRETCHING DINAMICO

Questa tecnica assomiglia allo stretching balistico, ma ne differisce per la modalità di esecuzione degli esercizi. Il concetto è sempre quello di far oscillare gli arti o il busto, ma in maniera lenta e controllata, quindi senza ricorrere a slanci e scatti come avviene, invece, nello stretching balistico. Con questa tecnica si cerca di sfruttare gradatamente tutta l’ampiezza concessa dall’articolazione, evitando l’effetto del rimbalzo o del molleggio che causano l’attivazione del riflesso miotatico portando il muscolo a reagire contraendosi anziché distendersi. Un giusto compromesso tra le due tecniche, è il PVFP (progressive velocity flexibility program), un programma di stretching a velocità e l’ampiezza dell’allungamento vengono aumentate progressivamente, permettendo in tal modo un graduale adattamento delle strutture muscolo-tendinee e arrivando, quindi, ad affrontare i movimenti di stretching balistico riducendo il rischio di infortunio.

STRETCHING STATICO: METODO “ANDERSON”

Gli esercizi di stretching statico si basano su una graduale tensione, rilassata, progressiva e prolungata, dei vari distretti muscolari. Si articola in due fasi: nella prima fase si raggiunge un primo livello di allungamento, che va mantenuto per almeno 20-30 secondi così da eccitare gli organi tendinei del Golgi, i quali, tramite il riflesso spinale miotatico inverso, determinano un rilasciamento del muscolo che consente un ulteriore allungamento muscolare. Lo stretching distrettuale ha il vantaggio di essere sicuro, facile nell’esecuzione e non presenta problemi inerenti il riflesso di stiramento. Presenta però il limite di non tener conto delle catene muscolari, a differenze dello stretching globale, e di non essere specifico.

STRETCHING PASSIVO

Lo stretching passivo è detto anche stretching rilassato o stretching statico passivo. Differisce al precedente solo per il fatto che l’atleta non partecipa attivamente al raggiungimento dei gradi di movimento in quanto viene aiutato da un compagno o da un attrezzo. Per esempio, portare lentamente la gamba in alto e tenerla in posizione con l’aiuto di un attrezzo o di un compagno. La divaricata è un esempio di allungamento passivo. Questa tecnica viene usata soprattutto in fase di riabilitazione, dove l’azione dei muscoli antagonisti e del tessuto connettivo possono creare una limitazione all’allungamento.

STRETCHING ISOMETRICO

Lo stretching isometrico è una forma di stretching statico che comporta la contrazione isometrica della muscolatura sottoposta ad allungamento. L’uso dello stretching isometrico è uno dei modi più veloci per sviluppare una maggiore flessibilità statica passiva e molto più efficace sia dello stretching passivo sia dello stretching attivo svolti singolarmente. Gli allungamenti isometrici aiutano anche a incrementare la forza nei muscoli “tesi”. I più comuni mezzi per dare la necessaria resistenza in un allungamento isometrico consistono nell’applicare resistenza a un partner o usare un attrezzo come una parete che offra resistenza.

STRETCHING STATICO

Lo stretching attivo si basa su esercizi eseguiti con grande ampiezza di movimento in cui l’arto, o il segmento corporeo, viene tenuto in una determinata posizione grazie alla contrazione isometrica dei muscoli agonistici.

Gli allungamenti attivi sono, di solito, piuttosto difficili da tenere per più di 10 secondi e raramente si ritiene necessario mantenerli per più di 15 secondi. Lo stretching attivo si propone di aumentare la flessibilità attiva e rafforzare i muscoli agonisti e viene utilizzato soprattutto per la ricerca di una flessibilità dinamica, che si dimostra molto più “vicina” al gesto atletico rispetto alla flessibilità di tipo passivo. Tuttavia, tra gli svantaggi di questa tecnica, troviamo lo stimolo del riflesso miotatico da stiramento.

STRETCHING PNF

La PNF, detta anche stretching propriocettivo, è una metodica di allungamento muscolare nata in ambito riabilitativo, ma che da qualche anno si è diffusa anche in ambito sportivo. Questa pratica trova impiego in tutte le situazioni in cui viene compromessa l’estensibilità muscolare. Infatti è attualmente il modo più efficace e più veloce per aumentare la flessibilità statica. Non è propriamente un tipo di stretching, ma una tecnica che combina stretching passivo e stretching isometrico in modo da raggiungere la flessibilità statica massima.

La maggior parte delle tecniche PNF utilizzano una contrazione isometrica con rilassamento della muscolatura agonistica, nella quale i muscoli allungati vengono contratti isometricamente e poi rilassati. Altre, invece, utilizzano anche la contrazione isometrica dell’antagonista, nella quale gli antagonisti dei muscoli allungati vengono contratti. In tutti i casi, è importante notare che si dovrebbe far riposare il muscolo allungato per almeno 20 secondi prima di svolgere un’altra tecnica PNF.

CHE COSA SONO LE CATENE MUSCOLARI?

I muscoli sembrano essere strutture distinte, indipendenti le une dalle altre, ma in realtà sono collegati in concatenazioni di lunghe catene muscolari all’interno del sistema miofasciale; la lunghezza e l’elasticità di ogni singolo muscolo sono strettamente legate a quelle di tutti i muscoli appartenenti alla stessa catena. Allungare solo una parte restante della catena muscolare può facilmente comportare l’accorciamento della parte restante della catena che, in questo modo, evita di variare la sua lunghezza totale. Quindi otteniamo una parte di allungamento delle fibre interessate e una parte di allungamento che viene preso a “prestito” da altri gruppi muscolari. In altre parole, quando si allunga un muscolo, altri gruppi muscolari devono cedere la propria tensione per permettere l’allungamento del muscolo in questione.

CLASSIFICAZIONE DELLE CATENE MUSCOLARI

La tecnica dello stretching globale attivo consiste nel mantenere, per alcuni minuti specifiche posizioni o posture, facendo ben attenzione a eliminare in maniera attiva tutti i “compensi”, così da consentire l’allungamento stabile dall’intera catena muscolare interessata. Questa tecnica, poiché è in grado di incidere profondamente sull’intera postura, viene anche definita “stretching posturale”.

La complessità e l’incisività di questa metodologia richiedono un apprendimento sotto la guida di un professionista prima di poterla eseguire individualmente.

PANCAFIT

Uno strumento brevettato ed utilizzato in ambito posturologico/riabilitativo e sportivo ormai da diversi anni è Pancafit. L’attrezzo che agevola le posture Mezieres attraverso la peculiarità dell’allungamento muscolare globale decompensato agendo sulle catene muscolari, fasciali, connettivali e neurologiche. I due piani di appoggio che compongono l’attrezzo, si muovono su guide che permettono di ottenere angoli di lavoro per posture del tutto personalizzate; in tal modo l’operatore riesce facilmente a rispettare le difficoltà individuali ed il lavoro può essere così facilmente guidato.

FLEXability

FLEXability è un’attrezzatura brevettata e prodotta da Technogym e si compone di due macchinari che permettono di effettuare allungamenti coinvolgendo i principali gruppi muscoli dell’apparato locomotore. Variando opportunamente le posizioni assunte sulle attrezzature e il funzionamento dei meccanismi di regolazione, è possibile effettuare numerose varianti di esercizi e quindi sfruttare appieno la versatilità.

Posterior- Questa macchina agisce principalmente sulla catena muscolare posteriore: la posizione assunta durante l’esercizio, sembra facilitare anche il ritorno venoso e linfatico e il recupero dei liquidi interztiziali. Può essere utilizzata simultaneamente con entrambi gli arti o singolarmente.

Anteriori- Questa macchina agisce singolarmente sulla parte anteriore del corpo, contraendosi in particolare sui muscoli flessori dell’anca, ileopsoas, retto femorale e sartorio.

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