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  • Immagine del redattoreLeonardo Mattiello

Il ginocchio


Biomeccanica, traumatologia e riabilitazione



I MENISCHI

Il menisco mediale ed il menisco laterale anatomicamente sono costituiti da due “cunei” cartilaginei a forma di C, dislocati tra i condili femorali e la tibia. Le funzioni anatomiche dei menischi sono essenzialmente quattro: la riduzione dello stress sull’articolazione del ginocchio, la stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio, la limitazione funzionale del movimento di estensione e flessione del ginocchio e la lubrificazione dell’articolazione.

IL LEGAMENTO COLLATERALE LATERALE

Il legamento collaterale laterale (LCL), detto anche legamento fibulare, è lungo mediamente 5 cm ed ha l’aspetto di un cordone fibroso di forma rotonda. La funzione del LCL è quella di sostenere la parte laterale dell’articolazione del ginocchio, in questo compito viene coadiuvato dalla benderella ileotibiale. Il LCL è sottoposto a trazione durante l’estensione della gamba sulla coscia e si rilassa durante la flessione.

IL LEGAMENTO COLLATERALE MEDIALE

Il legamento collaterale mediale (LCM) o tibiale, presenta una lunghezza media di circa 8-9 cm. Il LCM è il principale stabilizzatore statico del ginocchio nei confronti dello stress in valgo ed in rotazione e risulta in tensione durante l’estensione completa della gamba, iniziando a detenersi tra i 30 gradi ed i 40 gradi di flessione.

IL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE

Il legamento crociato anteriore (LCA) ha origine dalla zona pre-spinale del tratto tibiale e raggiunge, con un tragitto obliquo diretto verso l’alto. Il LCA si oppone alle eccessive traslazioni anteriori della tibia ed alle trazioni posteriori del femore sulla tibia, mentre il LCP contiene le eccessive traslazioni posteriori della tibia rispetto al femore.

IL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE

Il legamento crociato posteriore (LCP) ha origine sulla faccia interna del condilo mediale del femore, si inserisce sull’area intercondiloidea posteriore della tibia ed è mediamente lungo circa 38 mm. La sua azione meccanica principale è quella di contrastare la traslazione posteriore della tibia rispetto al femore, il LCP fornisce ben il 95% della forza rivolta a controllare tale scivolamento posteriore e viene in questo compito coadiuvato da altri stabilizzatori secondari, che sono la porzione postero-laterale e postero-mediale della capsula.

LA CAPSULA

La capsula nel ginocchio è la capsula articolare più ampia ed estesa e ricopre i condili femorali, il piatto tibiale e la rotula. La capsula è formata da una parte sinoviale e da una fibrosa ed è rinforzata da numerose strutture legamentose.

LE BORSE

L’articolazione del ginocchio è dotata di numerose borse. Una borsa sinoviale è una struttura sacciforme, delimitata da una membrana sinoviale, rinforzata da una guaina fibrosa e internamente lubrificata da un velo di liquido sinoviale.

I MUSCOLI ESTENSORI DEL GINOCCHIO

Il muscolo estensore del ginocchio è il quadricipite femorale che prende origine con quattro capi (il muscolo retto del femore, il muscolo vasto mediale, il muscolo vasto intermedio ed il muscolo vasto laterale).

I MUSCOLI FLESSORI DEL GINOCCHIO

I muscoli flessori della coscia sono gli ischiocrurali (bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso), il muscolo sartorio ed il muscolo gracile, il popliteo ed i gemelli, anche se questi ultimi dovrebbero essere a rigore considerati come degli estensori della caviglia.

LESIONI ACUTE DEL GINOCCHIO

FRATTURE DELLA ROTULA

Le fratture della rotula rappresentato circa l’1% di tutte le fratture scheletriche. Avvengono quasi sempre per trauma diretto, come ad esempio l’urto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto, oppure per un violento impatto contro un avversario od una struttura di gioco.

Il trattamento è di conservativo nel caso le fratture non siano scomposte, con una diastasi interframmentaria massima di 2-3 mm ed a patto che l’apparato estensore del ginocchio risulti integro. E’ raccomandato l’utilizzo di una ginocchiera, che può essere gessata o meno, per quattro settimane, a cui debbono fare seguito altre due settimane di carico parziale associato a FKT. Il trattamento chirurgico è invece indicato nel caso in cui vi sia una frattura che presenti una scomposizione dei frammenti maggiore di 4 mm associata ad eventuale lesione tendinea.

Già in fase precoce il paziente deve cominciare ad effettuare delle contrazioni isometriche sub-massimali del quadricipite femorale, allo scopo di limitare la formazione di aderenze nel corso del processo di guarigione. Nella prima fase riabilitativa, ancora con tutore gessato, si possono cominciare esercizi, a catena cinetica aperta e chiusa rivolti al potenziamento della muscolatura dell’anca. Alla terza settimana terza settimana l’apparecchio gessato può essere sostituito con un tutore articolato. Dalla quarta settimana, salvo particolari controindicazioni, possono essere inseriti nel piano di lavoro degli esercizi di potenziamento, sia a catena aperta che chiusa, e di mobilizzazione articolare. Sempre nello stesso momento, può essere intrapreso un cauto programma di mobilizzazione rotulea, oltre all’inserimento dell’elettrostimolazione, superimposta alla contrazione isometrica, del quadricipite femorale. Dopo la dodicesima settimana si può inserire l’utilizzo della cyclette.

FRATTURA DELL’EPIFISI DISTALE DEL FEMORE

Le fratture a carico dell’epifisi distale del femore sono generalmente causate da meccanismi di stress in valgo-varo ad alta energia, che spesso, nella biomeccanica del trauma, si associano a forze rotazionali e/o compressive.

Il trattamento iniziale prevede l’immobilizzazione gessata con un periodo compreso tra le quattro e le sei settimane. Il trattamento chirurgico prevede la riduzione della frattura effettuata a cielo aperto e la sua stabilizzazione tramite mezzi di sintesi.

FRATTURE DELL’EPIFISI PROSSIMALE DELLA TIBIA

Le fratture prossimali di tibia possono essere distinte in fratture articolari ed extra-articolari, ma indipendentemente da ciò, i più comuni esiti di tale tipo di trauma sono l’incongruenza articolare e l’instabilità del ginocchio. In questo caso, le forze compressive, determinano delle fratture caratteristiche a forma di “T” o “Y”. Fratture a carico dell’estremità prossimale della tibia, possono essere anche causate da sollecitazioni in varo od in valgo, nel caso in cui queste siano accompagnate da una componente compressiva.

L’orientamento terapeutico è di tipo chirurgico e consiste generalmente nella riduzione e sintesi con fissazione interna. Se si è verificato un affossamento articolare diviene necessaria la ricostruzione del piano articolare stesso mediante trapianto di tessuto osseo.

I tempi di recupero sono necessariamente lunghi, soprattutto in funzione di possibili lesioni condrali associate. Normalmente il ritorno all’attività sportiva avviene nel giro di 4-7 mesi.

FRATTURE DELLA TUBEROSITA’ TIBIALE ANTERIORE

Le fratture della tuberosità tibiale anteriore, costituiscono un evento lesivo che, seppur raramente è osservabile nello sportivo adolescente in una fascia d’età compresa tra i 3 ed i 17 anni. La popolazione maschile presenta una netta predominanza. Il meccanismo lesivo è in genere costituito da una violenta ed improvvisa contrazione del muscolo quadricipite, ma la lesione può comunque insorgere anche in conseguenza di un trauma diretto.

Nelle fratture di primo tipo, in assenza, o comunque con minimo spostamento, è indicato un apparecchio gessato femoro-podalico da mantenersi per un periodo compreso tra le 4 e le 6 settimane. Dopo l’intervento viene applicato un apparecchio gessato in estensione pressochè completa da mantenersi per 4-6 settimane.

FRATTURE DELLA TUBEROSITA’ TIBIALE ANTERIORE

Le fratture della tuberosità tibiale anteriore, costituiscono un evento lesivo che, seppur raramente, e osservabile nello sportivo adolescente in una fascia d’età compresa tra i 13 e i 17 anni. La popolazione maschile presenta una netta predominanza. Il meccanismo lesivo è in genere costituito da una violenta ed improvvisa contrazione del muscolo quadricipite, ma la lesione può comunque insorgere anche in conseguenza di un trauma diretto.

Nelle fratture di primo tipo, in assenza, o comunque con minimo spostamento, è indicato un apparecchio gessato femoro-podalico da mantenersi per un periodo compreso tra le 4 e le 6 settimane.

L’intervento riabilitativo viene intrapreso a guarigione avvenuta. In linea di massima si può prevedere un ritorno alla corsa nel giro di circa 50-60 giorni, mentre per un ritorno all’attività agonistica, soprattutto nel caso in cui quest’ultima preveda gesti esplosivo-balistici come balzi, cambi di direzione ecc, occorre prevedere un periodo riabilitativo compreso tra i 4 e i 6 mesi.

FRATTURE DELLA TESTA DELLA FIBULA

La fibula (o perone) partecipa con la tibia alla costituzione dello scheletro della gamba, sostenendo circa il 17% del peso corporeo. E’ composta da un corpo prismatico a sezione triangolare e da due estremità.

L’indicazione chirurgica è rara. Una frattura isolata del perone senza spostamento sovente viene trattata solamente con riposo funzionale e non con immobilizzazione. Talvolta può essere comunque indicato un tutore e la deambulazione con canadesi in carico parziale per un breve periodo.

Il periodo di guarigione è normalmente compreso tra 4 ed 8 settimane, in funzione dell’estensione della frattura.

FRATTURE OSTEOCONDRIALI

Le fratture osteocondriali possono essere causate da una notevole tipologia di traumi. Tuttavia, in ambito sportivo le cause maggiormente ricorrenti sono costituite da traumi diretti, lesioni di tipo legamentoso e lussazioni rotulee. Le fratture osteocondrali della rotula sono frequentemente associate ad una lussazione. Un forte impatto può determinare il distacco di un frammento condrale o subcondrale e la conseguente formazione di “corpi mobili” articolari. Le fratture osteocondrali sono relativamente frequenti nel giovane atleta a causa dell’immaturità cartilaginea.

Nelle lesioni di minore entità, il trattamento è di tipo conservativo. In quest’ambito si rileva di fondamentale importanza la tonificazione di tutta la catena muscolare superiore (glutei, quadricipite, flessori) ed inferiore (grastrocnemio e soleo), nonché di tutta la muscolatura intrinseca del piede. Nelle lesioni più importanti, od in presenza di corpi mobili intra-articolari, si rileva particolarmente utile l’artroscopia diagnostica, al fine di valutare le proporzioni del frammento che, se di piccole dimensioni, può essere direttamente asportato.

La riparazione ed il rimodellamento della zona lesa, necessita di tempi relativamente lunghi, generalmente compresi tra le 6 e le 8 settimane, durante le quali non deve essere concesso il carico. In questo periodo deve essere intrapreso un piano di lavoro di tonificazione muscolare dell’arto inferiore. La ripresa della corsa è concessa solamente nel momento in cui la muscolatura estensoria dell’arto leso abbia riacquistato perlomeno una forza pari all’85% rispetto al controlaterale. Il pieno ritorno all’attività sportiva e prevedibile in un periodo compreso tra i 3 e gli 8 mesi. In funzione della tipologia della lesione e del tipo di intervento subito.

LE FRATTURE DA STRESS

Le fratture da stress sono normalmente causate da un sovraccarico funzionale reiteratamente applicato, come ad esempio nel caso delle specialità di fondo dell’atletica leggera.

L’atleta deve assolutamente tenuto a riposo, per un periodo compreso tra le 4 e le 6 settimane, può essere talvolta consigliata la rimozione del carico, anche se l’immobilizzazione gessata non è generalmente necessaria. Particolarmente utile, al fine di accelerare i processi di riconsolidamento della linea di frattura è la magnetoterapia, ancor più interessante si rileva l’utilizzo di speciali ginocchiere magnetiche che permettono di esporre l’articolazione ad un campo magnetico costante.

Il ritorno all’attività sportiva necessita di tempi lunghi, e comunque deve basarsi su controlli scintografici che permettono di stabilire con certezza il totale riconsolidamento della zona di frattura. Inoltre, a guarigione avvenuta, il piano di lavoro dell’atleta deve essere attentamento valutato ed eventualmente modificato, in modo tale da potere evitare eventuali recidive.

L’OSTEOCONDRITE DISSECANTE

L’osteocondrite dissecante è una necrosi di tipo parcellare a carico di una parte lenticolare della cartilagine articolare e della corrispondente spongiosa subcondrale dell’epifisi distale del femore.

Se non si è verificato distacco di corpi mobili all’interno dell’articolazione è possibile tentare un approccio di tipo conservativo, mettendo l’arto in scarico ed utilizzando per l’immobilizzazione una ginocchiera. Durante il periodo d’immobilizzazione, occorre necessariamente monitorare con una certa frequenza il fenomeno di rivascolarizzazione del frammento.

Il periodo riabilitativo è piuttosto lungo, essendo compreso in un lasso di tempo che va dai tre ai sei-sette mesi.

LA LUSSAZIONE DELLA ROTULA

Il meccanismo di lussazione rotulea è costituito da extrarotazione della gamba accompagnata da estensione dell’articolazione del ginocchio e contrazione attiva del quadricipite femorale. Questo tipo di lesione colpisce soprattutto gli atleti giovani, generalmente di età compresa tra i 14 ed i 17 anni, divenendo più rara al di sopra dei 25 anni, inoltre la maggior incidenza si registra a carico della popolazione femminile.

Sono indicate l’applicazione di ghiaccio, la compressione, l’immobilizzazione, il riposo e l’elevazione dell’arto secondo il protocollo RICE. Il trattamento di tipo conservativo comporta l’immobilizzazione per un periodo di due settimane in tutore rigido bloccato in estensione, quindi la concessione graduale della ripresa del ROM. Nel caso di lussazioni recidivanti di rotula si rende talvolta necessario un intervento di riallineamento rotuleo, costituito generalmente dall’associazione della trasposizione della tuberosità tibiale alla detensione del retinacolo laterale a cui, in particolari casi, si rende contestualmente necessaria la trasposizione dell’inserzione del vasto mediale obliquo.

Il ritorno all’attività sportiva avviene generalmente in 4-6 settimane.

LA LESIONE DEL TENDINE ROTULEO

Le lesioni tendinee di origine traumatica, sono in verità degli eventi traumatici piuttosto rari, in effetti la struttura anatomica dei tendini presenta un’altissima resistenza di rottura nei confronti di carico meccanico, a questo inoltre si aggiunge un meccanismo di difesa estremamente efficiente. E’ sempre possibile il verificarsi di una lesione tendinea, sia di tipo parziale che totale, in seguito a trauma diretto, come nel caso di un corpo contundente che colpisca un tendine in tensione. Le rotture di tipo parziale, si verificano molto più frequentemente negli sportivi già da tempo sofferenti di tendinite cronica.

Il tipo di trattamento è esclusivamente chirurgico e prevede una sutura accompagnata da un’immobilizzazione con tutore fisso, con arto in estensione, per un periodo di tre settimane, alle quali normalmente segue un secondo periodo di tre settimane in articolarietà progressiva.

Per ciò che riguarda la piena funzionalità, soprattutto se nel modello prestativo della disciplina praticata sono previsti movimenti esplosivi di estensione dell’arto inferiore, occorre attendere i tempi biologici di riparazione, che sono di circa sei mesi, anche se la corsa, seppur a ritmi molto blandi, può essere intrapresa all’incirca già tre mesi dopo la data d’intervento.

LA LESIONE DEL TENDINE DEL QUADRICIPITE FEMORALE

Le lesioni del tendine del quadricipite femorale, sono sostanzialmente appannaggio degli sport nei quali l’apparato estensore venga fortemente sollecitato attraverso contrazioni intense ed esplosive.

Per ciò che riguarda le lesioni di tipo parziale, il trattamento è, di massima, di tipo conservativo. Nei casi di rotture gravi, l’indicazione è invece chirurgica e prevede una sutura tendinea seguita da immobilizzazione in estensione per un periodo di quattro settimane, seguita da mobilizzazione protetta con ginocchiera articolare per altre due settimane.

I tempi per la ripresa della piena funzionalità, sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli indicati nel caso di rottura del tendine rotuleo, ossia di circa sei mesi.

LA LESIONE DEL MENISCO MEDIALE E DEL MENISCO LATERALE

Il menisco mediale ed il menisco laterale, anatomicamente, sono costituiti da due “cunei” cartilaginei a forma di C, dislocati tra i condili femorali e la tibia. Le funzioni anatomiche dei menischi sono essenzialmente quattro: la riduzione dello stress sull’articolazione del ginocchio, la stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio, la limitazione funzionale del movimento in estensione e flessione del ginocchio.

La riduzione dello stress a livello articolare: i due menischi giocano un ruolo molto importante nel ridurre il carico da stress sull’articolazione del ginocchio, svolgendo una funzione di “ammortizzatori” anatomici.

La stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio: i menischi espletano un’importante funzione stabilizzatrice nei confronti dell’articolazione del ginocchio mantenendo un corretto atteggiamento del femore nei confronti della tibia.

La limitazione funzionale del movimento di estensione e flessione del ginocchio: i menischi limitano funzionalmente il movimento di estensione e di flessione della gamba sulla coscia.

La lubrificazione dell’articolazione: i menischi contribuiscono attivamente alla lubrificazione dell’articolazione del ginocchio, stendendo una sottile patina di liquido sinoviale sull’articolazione stessa.

Il trattamento chirurgico viene effettuato in artroscopia, durante la quale viene effettuata la rimozione o la sutura della parte meniscale danneggiata.

I TEST MENISCALI SPECIFICI

L’esame clinico costituisce un aspetto molto importante nell’ambito della diagnosi delle lesioni meniscali.

Test di Oudard: in questo particolare di tipo di manovra si comprime l’emirima laterale in caso di presunto danno al menisco laterale, oppure l’emirima mediale se si intende testare l’integrità del menisco mediale, contestualmente da un’estensione attiva del ginocchio. In caso di lesione si evoca un dolore molto vivo, che viene definito in gergo con il termine di grido del ginocchio.

Test di Apley: a paziente prono con l’arto inferiore flesso a 90 gradi, l’operatore effettua manualmente una rotazione esterna del piede in caso di test a carico del menisco mediale, oppure esterna per quello che riguarda il menisco laterale. La comparsa del dolore è sintomo di lesione.

LESIONE DEL LEGAMENTO COLLATERALE MEDIALE

Il legamento collaterale mediale o tibiale è il principale stabilizzatore statico del ginocchio nei confronti dello stress in valgo ed in rotazione e risulta in tensione durante l’estensione completa della gamba, iniziando a detenersi tra i 30 gradied i 40 gradi di flessione, per poi ritornare in tensione a circa 60 gradi- 70 gradi di flessione. Una porzione del LCM tuttavia rimane comunque in tensione per tutto l’arco di movimento, allo scopo di proteggere l’articolazione del ginocchio dagli stress in valgo e dalle forze esterne di tipo rotazionale. La lesione del LCM è normalmente associata ad una sollecitazione in valgo del ginocchio causata, ad esempio, da un trauma contusivo sulla parte laterale del ginocchio stesso, oppure da una caduta su di un fianco mentre l’arto è fermamente poggiato al suolo. Il danno al LCM si verifica per la maggior parte dei casi nell’ambito degli sport di contatto come ad esempio il calcio, il rugby, la lotta, ecc..

Nelle prime 24-36 ore successive all’evento traumatico, è consigliata l’applicazione di ghiaccio sulla zona della lesione, il mantenimento dell’arto in posizione elevata e l’applicazione di un bendaggio elastico. Raramente i danni del LCM necessitano trattamento chirurgico, a cui invece sovente si ricorre nel caso in cui il trauma lesivo a carico del LCM, sia associato al danno di altre strutture legamentose o cartilaginee.

Una distorsione del LCM di medio-bassa entità, viene risolta, previo adeguato trattamento, nell’arco dii 2-6 settimane. Distorsioni più gravi possono richiedere periodi d’immobilizzazione e di riposo nettamente maggiori, soprattutto nel caso in cui sia particolarmente evidente un’instabilità articolare a livello del ginocchio.

LESIONE DEL LEGAMENTO COLLATERALE LATERALE

Il legamento collaterale laterale (LCL) detto anche legamento fibulare, ha l’aspetto di un cordone fibroso di forma rotonda e dello spessore simile a quello di una matita da disegno. La funzione del LCL è quella di sostenere la parte laterale dell’articolazione del ginocchio, in questo compito viene coadiuvato dalla banderellaileotibiale, dal tendine del politeo, dal legamento arcuato e dal tendine del bicipite. Il LCL è da un punto di vista statistico meno esposto a traumi di tipo discorsivo rispetto al LCM, grazie sia alla sua elasticità, siaal fatto che la parte laterale del ginocchio è ben protetta da altri stabilizzatori secondari. La gravità dell’infortunio è determinata dal grado di lassità presentato dal legamento ed è classificabile in I,II,III grado.

I GRADO: in questo tipo di lesione il paziente lamenta una sintomatologia dolorosa causata dalle microlesioni subite a livello del LCL

II GRADO: la lesione di secondo grado è una lesione incompleta che presenta un aumento della lassità durante lo stress in varo, sia a 30 gradi di flessione, che in completa estensione.

III GRADO: nelle lesioni di terzo gradi vi è una rottura completa del LCL che comporta un’evidente lassità, sia a 30 gradi di flessione, sia in completa estensione.

Le lesioni di primo e secondo grado possono essere trattate con terapia conservativa, a patto che sia riscontrabile una certa stabilità al test di stress in varo. Il paziente può cominciare, se non riferisce dolore, a caricare immediatamente l’arto, anche se in alcuni casi si ricorre ad un’immobilizzazione di una durata massima di circa 7 giorni. Per questo tipo di lesioni non è di norma necessario l’utilizzo di un tutore.

Dopo una lesione di primo e secondo grado l’atleta è in grado di ritornare all’attività sportiva nell’arco di 3-7 settimane, mentre nel caso di una lesione di terzo grado trattata chirurgicamente si può riprendere la normale attività sportiva dopo un periodo riabilitativo della durata di circa sei mesi.

LA LESIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE

Il legamento crociato anteriore (LCA) da un punto di vista anatomico è costituito da due fasci: il fascio antero-mediale e il fascio postero-laterale. La funzione del LCA si basa in un meccanismo di base intercorrente tra la tibia ed il femore. Durante la flessione del ginocchio, è il LCA che determina il passaggio dal meccanismo di rotolamento a quello di scivolamento, mentre, nella fase di estensione, è il LCP che determina la cinetica posteriore.

Il LCA si oppone alle eccessive traslazioni anteriori della tibia ed alle trazioni posteriori del femore sulla tibia quando quest’ultima risulti fissa, mentre il LCP contiene le eccessive traslazioni posteriori della tibia rispetto al femore. Gli sport maggiormente a rischio sono il calcio, lo sci, la pallavolo ed il basket.

I meccanismi che risultano come frequenza maggiormente associati alla lesione totale o parziale del LCA sono:

-l’extra rotazione in valgo

-la flessione del ginocchio associata all’intrarotazione

-l’iperestensione associata all’intrarotazione

Il trattamento della lesione del LCA può essere di due tipi: conservativo, chirurgico.

Il trattamento conservativo: un LCA lesionato può venire trattato in modo conservativo, evitando cioè d’intervenire chirurgicamente, tuttavia questo trattamento è in grado di essere effettivamente efficace soltanto in un numero ridotto di casi, circa il 36%. A lungo termine la maggioranza dei pazienti presentano artrosi articolare e nel 51% dei casi si registra un nuovo evento traumatico entro 6-9 mesi.

Il trattamento chirurgico: la ricostruzione può essere di tipo intra-articolare ed extra-articolare. La ricostruzione intra-articolare si differenzia in base al tipo di trapianto. Il trapianto più diffuso è quello che vede l’utilizzo del tendine rotuleo, tra gli altri è bene ricordare quelli che utilizzano, rispettivamente, il tendine del m.semitendinoso, o il m. gracile, o un lembo di fascia lata.

L’attività sportiva può essere di norma ripresa gradualmente dopo un idoneo programma riabilitativo della durata di circa 6 mesi.

La complicazione maggiormente ricorrente nel caso di ricostruzione chirurgica di LCA con tendine rotuleo, è costituita dalla tendinite rotulea, nella quale si incorre in circa il 9% dei casi.

LESIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO POSTERIORE

Il legamento crociato posteriore (LCP) è formato da due fasci: un fascio anterolaterale di maggiori dimensioni, ed un fascio posteromediale, oltre a due fasci accessori associati, che vengono talora denominati “terzo legamento crociato”.

Il LCP è da considerarsi a tutti gli effetti come uno stabilizzatore primario nella traslazione posteriore di tibia, e secondario nella rotazione esterna, nella rotazione in varo e nell’iperestensione, meccanismi nei quali è coadiuvato dall’azione delle strutture postero laterali.

L’intervento ricostruttivo di LCP vede l’utilizzo di vari tessuti biologici, come il tendine di semiteninoso, il tendine popliteo, il tratto ileotibiale, il gastrocnemio mediale, oppure il terzo medio del tendine rotuleo. Inoltre, il trapianto eterologo è considerato, da alcuni, un’eccellente alternativa nella ricostruzione del LCP.

Il punto focale della riabilitazione del LCP è riuscire a contrastare efficacemente la traslazione posteriore della tibia determinata dalla forza di gravità. Nel caso invece di riparazione chirurgica del LCP, l’attività sportiva può essere, in genere, ripresa dopo un periodo riabilitativo compreso tra i 4 e gli 8 mesi.Quando si parla di design, il blog di Wix ha tutto ciò di cui hai bisogno per creare post accattivanti che cattureranno l'attenzione dei tuoi lettori. Scopri le funzionalità dei nostri design.

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