INTRODUZIONE ALLA FATICA
Il termine fatica viene utilizzato nel linguaggio corrente per descrivere tutte le direzioni di performance (reali o presunte) dal punto di vista fisico e/o mentale. Per i fisiologici che si occupano di esercizio fisico, il termine fatica ha un significato molto più preciso e ristretto.
Oggi in letteratura scientifica sono presenti molte definizioni del concetto di fatica più o meno articolare. Una che ben descrivere lo stato in cui si vengono a trovare gli atleti nel corso delle diverse competizioni è la seguente: “fatica-riduzione acuta di performance che comprende sia un aumento della percezione dello sforzo nel produrre una determinata forza sia eventualmente un’incapacità di produrre questa stessa forza”. La fatica è un fenomeno multifattoriale, molto complesso causata da numerosi fattori a diversi livelli. Tuttavia, al fine di semplificare e quindi rendere più agevole la discussione dell’argomento, suddivideremo la fatica stessa in quelle che si ritiene comunemente siano le sue due principali classificazioni: fatica di tipo periferico e fatica di tipo centrale.
I VARI TIPI DI FATICA
La fatica viene definita a seconda del luogo in cui ha origine. Si parla di fatica di tipo periferico, se i processi che la causano e le strutture coinvolte sono a valle della giunzione neuromuscolare; se invece le cause risiedono a livello del motoneurone alfa, del midollo spinale o addirittura del cervello, si parla di fatica di tipo centrale.
La fatica di tipo periferico può essere facilmente studiata analizzando le risposte del muscolo a stimolazioni elettriche dei nervi periferici, oppure valutando le risposte alle stimolazioni elettriche dirette del muscolo tramite elettrodi di superficie. La differenza sta nel fatto che, mentre nel primo tipo di approccio la risposta contrattile del muscolo avviene in toto, nel secondo si va a indagare la reazione di una sola parte del muscolo. La risposta del muscolo viene generalmente quantificata tramite la sua capacità di produrre forza prima e dopo un esercizio affaticante.
La fatica di tipo centrale è sicuramente un fenomeno ancora più complesso, molto più difficile da studiare o per lo meno da quantificare. Questo tipo di fatica può coinvolgere meccanismi a livello corticale e/o meccanismi a livello del midollo spinale. Sintetizzando, la fatica di tipo centrale è principalmente dovuta a una riduzione di: comando motorio proveniente dall’encefalo, velocità di discesa dell’impulso elettrico nel midollo spinale, funzionalità a livello del midollo. I contributi dei fattori centrali e di quelli periferici sull’insorgenza della fatica sembrano essere diversi a seconda della tipologia di esercizio fisico che si esegue. Si ritiene che, quando le prestazioni sono prolungate nel tempo a un’intensità media moderata, i fattori centrali svolgano un ruolo principale. Al contrario, quando gli sforzi sono relativamente brevi, ma con un’intensità elevata, i fattori periferici sembrano essere i più importanti.
LA FATICA NEL GIOCO DEL CALCIO
Grazie all’utilizzo della tecnica di analisi delle partite definita “time-motionanalysis” è ormai noto che il calciatore di alto livello percorre circa 9-12 km nel corso di un match.
La tipologia di esercizio che i calciatori effettuano è intermittente; basti pensare che un giocatore cambia attività mediamente ogni 4-6 s. Quindi un giocatore di alto livello, nel corso di un singolo incontro, effettua circa 1300 diversi tipi di attività di cui circa 200 ad alta intensità. Ovviamente, altri tipi di attività, quali per esempio il dribbling, i contrasti e i colpi di testa, contribuiscono ad aumentare il dispendio energetico nel corso della partita.
Nel calcio possono essere distinti almeno due diversi tipi di fatica specifica: una fatica di tipo transitorio, che si presenta durante la partita a causa di brevi fasi (alcuni minuti) svolte ad alta intensità e una fatica permanente, che insorge nella fase finale del match ed è determinata da tutto il lavoro effettuato durante i 90 minuti di gioco.
LA FATICA DI TIPO TRANSITORIO DURANTE LE PARTITE
Le manifestazioni della fatica transitoria durante una partita sono ben evidenti. Analizzando i risultati di un recente studio, si rileva come ai 5 minuti di partita di cui si registra la maggior quantità di lavoro ad alta intensità seguono sempre 5 minuti in cui il lavoro ad alta intensità è inferiore rispetto al valore medio del match.
Se a questo si aggiunge che la capacità di effettuare sprint singoli e sprint ripetuti risulta peggiorata dopo avere svolto un breve periodo di lavoro ad alta intensità durante la partita, è palese che si possa concludere che i calciatori attraversano dei momenti di fatica transitoria durante gli incontri. Questo tipo di fatica ha anche un effetto deleterio sulle abilità tecniche del calciatore.
LA FATICA DI TIPO PERMANENTE DOPO LE PARTITE
E’ ben noto che la condizione atletica del giocatore influenza la capacità prestativa durante la partita. Per esempio, la distanza totale percorsa durante i match è correlata alle qualità aerobiche. In altre parole, i giocatori che possiedono livelli aerobici maggiori tendono a percorrere una distanza totale maggiore nel corso della partita. La capacità di effettuare lavoro ad alta intensità risulta essere legata, inoltre, ai risultati nel test incrementale Yo-Yo intermittent recovery test.
Ovviamente è molto più frequente assistere a una riduzione della capacità prestativa quando già nel primo tempo è stata effettuata una grossa mole di lavoro. Al contrario, si può registrare anche un incremento del lavoro svolto ad alta intensità nel secondo tempo se la prima parte di partita è risultata essere meno impegnativa.
Un ulteriore elemento che influenza notevolmente la prestazione fisica dei calciatori nel corso della partita è la performance fisica degli avversari. Infatti, se la propria squadra affronta una formazione avversaria dal livello tecnico elevato e altamente performante da un punto di vista fisico, anche l’impiego atletico dei giocatori della propria squadra risulta maggiore. Dato questo stretto legame tra una formazione e quella avversaria, i giocatori non adeguatamente preparati a sostenere il ritmo imposto dalla gara potrebbero andare maggiormente incontro a stati di fatica e perfino a infortuni.
Il fatto che i giocatori vadano incontro a fatica nel corso della partita sembra essere confermato da numerose altre evidenze sperimentali. In un test di sprint singolo e/o sprint ripetuti, si registra una significativa riduzione di performance dopo un match se si confrontano i risultati con quelli in condizioni di riposo.
Il livello di fitness dei giocatori e l’intensità della partita (parzialmente diversa da match a match) sono gli elementi principali che giustificano la variabilità di calo di performance nello sprint e la variabilità di riduzione di forza da studio a studio. Infatti, in un recente studio che abbiamo appena concluso su giovani calciatori professionisti italiani molto ben allenati, è stato possibile verificare che il calco di forza a seguito di una partita molto impegnativa è stato solo del 5-10% recuperato in 48 ore. Inoltre, il calo di velocità in uno sprint singolo è risultato del 2-3%, anche in questo caso recuperato in 48 ore. E’ stato anche possibile individuare l’origine della fatica in cui sono incorsi i giocatori ed è stato osservato che i fattori centrali spiegavano il 60-70% del calo prestativo, mentre i fattori periferici solo il 30-40%. I fattori di tipo centrale sembrano essere di gran lunga i più importanti nel determinare la fatica di tipo permanente nel calcio. L’allenamento, da un lato, e le strategie per il recupero, dovrebbero cercare di agire principalmente su questi elementi al fine di migliorare la performance tramite una riduzione di insorgenza di fatica. Inoltre, se si considera il continuo aumento degli impegni agonistici cui i giocatori devono far fronte, gli aspetti legati a una migliore qualità del recupero post gara assumono un’importanza ancora maggiore.
POSSIBILI CAUSE DELL’INSORGENZA DELLA FATICA
Anche se non è ancora del tutto chiaro quali siano le cause della riduzione di performance del calciatore, alcune informazioni possono comunque aiutare a capire i meccanismi che contribuiscono a questo fenomeno. Durante le fasi svolte ad alta intensità, il meccanismo anaerobico risulta essere marcamente attivato.
Recentemente sono stati misurati livelli di lattato e di ioni H+ muscolare anche quattro volte superiori a quelli basali. L’acidità muscolare non è certamente l’unica causa che porta a fatica, tuttavia sono state individuate moderate correlazioni tra l’accumulo di lattato e il deterioramento della performance di sprint durante la partita. D’altra parte è noto che alti livelli di lattato e bassi livelli di Ph interferiscono nella contrazione muscolare.
Altri possibili candidati a giustificare l’insorgenza della fatica di tipo transitorio potrebbero essere la temporanea riduzione della concentrazione di fosfocreatina (CP) nel muscolo e l’accumulo di potassio nello spazio interstiziale. E’ noto infatti, che la supplementazione di creatina tende a migliorare la performance in esercizi di tipo intermittente. Inoltre la diminuzione di concentrazione di CP a seguito di fasi ad alta intensità durante la partita è correlata alla diminuzione nella performance di sprint. La riduzione di CP non sembra non essere molto marcata; è doveroso considerare però che i risultati ottenuti potrebbero essere influenzati dal tempo necessario per ottenere la misura di CP muscolare e che quindi potrebbe essersi già verificato un parziale rispristino della CP stessa.
Quando si effettua un esercizio intenso e relativamente breve, si registra un marcato accumolo di potassio nello spazio interstiziale. Un accumulo così elevato di potassio porta a un elevato disturbo elettrolitico che può indurre addirittura a un’alterazione del potenziale della membrana della fibra muscolare e una conseguente riduzione della capacità di produrre forza. L’accumulo di un Ph basso, ovvero nel caso di sforzi in cui è presente un grosso contributo del meccanismo anaerobico.
La fatica può anche essere causata da un aumento della temperatura corporea al di sopra dei livelli ottimali. E’ ben noto che lo stress da calore riduce la capacità prestativa degli atleti. Ekblom ha dimostrato che la capacità di effettuare lavoro ad alta intensità risulta essere notevolmente ridotta quando le partite sono giocate a 30 gradi invece che a 20 gradi. Inoltre, è stato riportato che si arrivano a perdere fino a 3 litri di liquidi attraverso il sudore a seguito di partite giocate in condizioni di caldo a causa di elevate temperature e/o livelli di umidità. La marcata diminuzione di peso, principalmente dovuta a un’importante perdita di liquidi corporei, potrebbe essere l’elemento chiave nel calo prestativo. Tuttavia, la termoregolazione è un meccanismo molto complesso, basti pensare alle numerose evidenze che sottolineano l’importanza anche del riscaldamento. In una recente ricerca danese, è stato dimostrato come possa essere positivo effettuare un secondo riscaldamento, nella pausa tra le due frazioni di gioco, possa avere effetti positivi sulla capacità di compiere sprint nei primi minuti del secondo tempo. Ovviamente, nell’intervallo tra primo e secondo tempo, si registra una riduzione della temperatura muscolare. Effettuando un secondo warm-up, si aumenta nuovamente questa temperatura e ciò sembra essere l’elemento in grado di influenzare positivamente la capacità prestativa all’inizio della ripresa.
L’OVERREACHING E L’OVERTRAINING
Adottando un adeguato periodo di recupero prima di somministrare un ulteriore stimolo allenante, è possibili ristabilire le normali funzionalità fisiologiche dell’atleta o addirittura raggiungere livelli di fitness superiori a quelli precedenti. Questo fenomeno, definito di “supercompensazione”, costituisce la base del normale processo di allenamento a cui tutti gli atleti vengono sottoposti al fine di migliorare le proprie condizioni di forma.
A volte, però, l’equilibrio tra carico di lavoro e recupero tende a sbilanciarsi e non è raro assistere a situazioni in cui il carico di lavoro risulta eccessivo rispetto al tempo di recupero. Si parla di overreaching quando un atleta viene sottoposto a un carico di lavoro elevato al punto da determinare un affaticamento fuori dalla portata delle normali capacità di recupero del soggetto. Solo a seguito di un periodo relativamente lungo di scarico (solitamente 2 settimane) si osserva un completo recupero della condizione fisica dell’atleta fin anche a raggiungere livelli prestativi superiori a quelli di partenza.
L’overraching, definito anche sovrallenamento a breve termine, può essere considerato l’anticamera dell’overtraining vero e proprio o comunque un livello di “under performance” meno grave di quanto si verifica nelle condizioni di overtraining.
L’overtraining (o sovrallenamento a lungo termine) si può definire come una situazione cronica di calo prestativo accompagnato da uno o più sintomi importanti di carattere fisico o psichico. Infatti, se i carichi di lavoro risultano essere molto elevati e prolungati nel tempo e le fasi di recupero assolutamente insufficienti, è possibile che un atleta incorra in una situazione di “under performance” che necessiti di un periodo che va da alcune settimane ad alcuni mesi di riposo per far sì che la situazione torni a normalizzarsi.
PREVENZIONE DELL’OVERTRAINING
Le sindromi da “under performance” (overreaching e overtraining) sono molto più frequenti di quanto comunemente si pensi. Alcuni ricercatori hanno studiato l’incidenza di queste problematiche in diverse discipline sportive. Per fare alcuni esempi, almeno il 70% degli atleti di endurance ha avuto situazioni di questo tipo (più o meno gravi) nel corso della propria carriera agonistica. In uno studio abbastanza datato, ma molto utile al nostro scopo, è stato riportato che il 33% dei giocatori di basket che avevano partecipato a un periodo preparatorio intensivo di 4 settimane mostrava segni riconducibili a un’iniziale situazione di overtraining. Infine, citando un lavoro di Lehamn, il 30-50% dei calciatori mostra alterazioni fisiologiche riconducibili a situazioni di “under performance” durante il periodo agonistico.
Tra i fattori che vengono ritenuti più importanti nel contribuire all’istaurarsi di casi di overtraining, alcuni sono legati all’allenamento, altri allo stile di vita e altri ancora alle condizioni ambientali. Tra quelli legati all’allenamento si ritiene che il volume e l’intensità, o la combinazione di entrambi, oltre alla monotonia dell’allenamento e al recupero inadeguato siano gli elementi più importanti da considerare. L’alimentazione e gli stress psicologici sono altri elementi importanti da controllare. Infine, le malattie e le infezioni in genere, le condizioni ambientali in cui gli atleti gareggiano ma, ancor più, si allenano sono altri fattori esterni che contribuiscono ad aumentare le situazioni di sovraccarico, ma che sfortunatamente possono essere controllati solo in parte.
PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DELL’ALLENAMENTO
La corretta strutturazione del processo di allenamento riveste un ruolo fondamentale nella prevenzione dell’overtraining. Il processo di allenamento non deve essere inteso come un rigido processo con tappe fisse e immutabili a cui gli atleti si devono sottoporre per raggiungere gli obbiettivi agonistici prefissati a inizio stagione, bensì va inteso come un processo molto flessibile che tiene conto delle necessità che si vengono a creare nel tempo e dei continui cambiamenti cui va incontro l’atleta.
Uno dei limiti principali della periodizzazione dell’allenamento risiede, indubbiamente, nella difficoltà di quantificare il carico di lavoro e la fatica derivanti dalle diverse sedute di allenamento. Nel gioco del calcio è stato dimostrato che la frequenza cardiaca e le misure di lattato ematico sono utili indicatori del carico di allenamento svolto dai giocatori.
Occorre altresì precisare che non esiste un indicatore di intensità di esercizio assolutamente perfetto e privo di cricità. Per questo motivo è bene conoscere pregi e difetti dei vari strumenti al fine di utilizzarli e interpretare i risultati nella maniera più corretta possibile. Anche sepotenzialmente molto utile, la raccolta sistematica delle frequenze cardiache o dell’accumulo di lattato nelle varie sessioni di allenamento, nel corso dell’intera stagione agonistica e sull’intera squadra, è un compito che certamente implica numerose problematiche di tipo logistico.
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